Sono la malattia e la morte gli argomenti su cui si concentra la meditazione all’Angelus del nostro Pontefice, che ne parla attraverso il Vangelo di Marco 5,21-43.
Con i due racconti, quello della bambina morta e della donna malata, Gesù “opera due segni di guarigione per dirci che né il dolore né la morte hanno l’ultima parola. Ci dice che la morte non è la fine. Egli vince questo nemico, dal quale non possiamo liberarci da soli.”
Ecco quindi una donna, che avendo perdite continue di sangue era considerata impura e dunque nessuno le si avvicinava, e la similitudine con una delle grandi malattie di oggi, “la malattia più grande della vita è la mancanza di amore, è non riuscire ad amare. Questa povera donna era malata sì delle perdite di sangue, ma, per conseguenza, di mancanza di amore, perché non poteva essere socialmente con gli altri. E la guarigione che più conta è quella degli affetti.” Così come lei aveva speso tanti soldi per dei rimedi che non l’avevano guarita, “anche noi, quante volte ci buttiamo in rimedi sbagliati per saziare la nostra mancanza di amore? Pensiamo che a renderci felici siano il successo e i soldi, ma l’amore non si compra, è gratuito. Ci rifugiamo nel virtuale, ma l’amore è concreto. Non ci accettiamo così come siamo e ci nascondiamo dietro i trucchi dell’esteriorità, ma l’amore non è apparenza. Cerchiamo soluzioni da maghi, da santoni, per poi trovarci senza soldi e senza pace, come quella donna.” Che alla fine sceglie di toccare Gesù, e viene guarita dal Suo cuore, dalla Sua compassione.
Lasciamo dunque che Gesù guarisca il nostro cuore, perché Lui va oltre i peccati e le apparenze, e poi facciamo qualcosa per gli altri, “guardati attorno: vedrai che tante persone che ti vivono accanto si sentono ferite e sole, hanno bisogno di sentirsi amate: fai il passo.[…] Apriamo il nostro cuore per accogliere gli altri. Perché solo l’amore risana la vita.”