Torna ad affacciarsi su Piazza San Pietro il Pontefice dopo l’intervento che lo ha portato in ospedale nelle scorse settimane, e per le meditazioni del suo Angelus prende in esame il Vangelo di Marco 6,30-34.
Questo passo offre due insegnamenti per la vita odierna, il riposo e la compassione. Gli apostoli vanno dal loro Maestro Gesù di ritorno dalle loro missioni per raccontargli tutto, e Lui li vede stanchi e li esorta a riposare; questo è il primo insegnamento: “anche se gioisce nel vedere i suoi discepoli felici per i prodigi della predicazione, non si dilunga in complimenti e domande, ma si preoccupa della loro stanchezza fisica e interiore.” Questo per evitare che accada che ci si lasci “prendere dalla frenesia del fare, cadere nella trappola dell’attivismo, dove la cosa più importante sono i risultati che otteniamo e il sentirci protagonisti assoluti.” Perché questo è un male? Accade anche ai cristiani oggi “pensiamo che tutto dipenda da noi e, alla fine, rischiamo di trascurare Gesù e torniamo sempre noi al centro. Per questo Egli invita i suoi a riposare un po’ in disparte, con Lui. Non è solo riposo fisico, è anche riposo del cuore.” Ed è importante anche questo tipo di riposo, quello della mente, del cuore e dell’anima, riuscire a staccare dalla quotidianità come faceva Gesù che dedicava sempre qualche momento della Sua giornata alla preghiera e alla contemplazione.
Il secondo insegnamento del brano è la compassione, quella che prova Gesù, che pur con la stanchezza vede la gente accorrere e riprende ad insegnare. “Solo il cuore che non si fa rapire dalla fretta è capace di commuoversi, cioè di non lasciarsi prendere da se stesso e dalle cose da fare e di accorgersi degli altri, delle loro ferite, dei loro bisogni. La compassione nasce dalla contemplazione. ” Questo ci darà la forza di agire senza farci travolgere dalle cose da fare.