“Anche io – ha detto Papa Francesco nel corso dell’omelia della notte di Natale – ripeto a tutti voi, come gli angeli ai pastori, ‘non temete’“. E’ bello ascoltare nuovamente a distanza di qualche giorno questo continuo invito del Pontefice a non temere: non temere la tenerezza, non temere le carezze, non temere la Misericordia.
Per noi che siamo un popolo in cammino, in risposta alla chiamata di Dio che fin dal primo incontro con nostro padre Abramo ci ha invitati a uscire da noi stessi per andare verso l’altro, sperimentare timore è tutto sommato normale: temiamo ciò che non conosciamo poiché non lo vediamo.
Vedere diventa quindi necessario affinché il popolo non si perda lungo il percorso come è stato nella storia della Salvezza in cui “si alternano momenti di luce e di tenebra, fedeltà e infedeltà, obbedienza e ribellione; momenti di popolo pellegrino e momenti di popolo errante“.
Camminare e vedere si fondono dunque indissolubilmente e diventano parte del “mistero del camminare e del vedere“.
“La nostra identità di credenti è quella di gente pellegrina verso la terra promessa” ha quindi chiarito Bergoglio. Popolo pellegrino che è diverso da un popolo errante e la differenza sta nella meta: mentre l’errare non ha meta, il pellegrino ha un destino preciso.
Per illuminare dunque la meta del suo popolo Dio ha mandato la “grande luce” a rischiarare le tenebre, affinché il Suo popolo potesse vedere e quindi camminare in modo sicuro.
Per questo l’invito degli Angeli ai pastori così come di Papa Francesco al suo popolo continua a risuonare chiaro: non temete poiché il cammino non è più buio.
Con questa “grande luce“, ora, dobbiamo fare in modo che quei momenti di luce e ombra che sono parte anche della nostra storia personale non abbiano a ripetersi poiché “se amiamo Dio e i fratelli, camminiamo nella luce, ma se il nostro cuore si chiude, se prevalgono in noi l’orgoglio, la menzogna, la ricerca del proprio interesse, allora scendono le tenebre dentro di noi e intorno a noi“.