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Andrea , ho appena letto il tuo messagio
.nel quale parli di Don Francesco Logullo……Ha condotto una vita santa……la tua storia mi ha emozionato tanto……sono francese e
Nato in un piccolo paese della bretagna……e noi andavamo tutti
A scuola dalle suore…..il paese era cosi piccolo…….le preghiere erano bellissime……andavamo a messa e mi ricordo del piacere mio di cantare …..
Mi ricordo del presepe fatto da tutti noi….e della goia di amare gesu……e la suora che faceva la maestra mi dava in prestito un sacco di libri….e cosi
Non ho mai smesso di leggere……e il
Nostro parocco dava a tutti delle mele…..delle pere…..un sant uomo anche lui…..Grazie tante O SIGNORE
Per averci dato tutti questi santi ordinari che ci hanno portato te O SIGNORE nella nostra vita. …
Chiedo la benedizione e la grazia per mia mamma Franca Bassani. .ammalata e in un letto di ospedale. ..
Chiedo che preghi il signore per noi è lei…
Che possa salvarla…
UNA STORIA NORMALE
Nel mio piccolo paese composto da qualche centinaio di abitanti, c’era un parroco, Don Francesco Logullo, un vecchietto dai radi capelli bianchi e gli occhiali enormi. Aveva un macchinina vecchissima marrone, una 112 che forse sentiva il peso degli anni più di lui.
Tutti lo descrivevano come un burbero, un prete vecchio stampo, che non permetteva applausi e troppe foto durante i matrimoni, che andava a prendere personalmente i bambini a casa se non arrivavano al catechismo, e che non capiva quel saluto che i giovani usavano addirittura con gli anziani: CIAO!
I miei primi ricordi di lui – oltre alla celebrazione della messa – risalgono al catechismo; i primi due anni avevamo la catechista, ma poi lui decise di occuparsene personalmente per prepararci meglio alla prima comunione, credo. Andavamo a casa sua, che in realtà era la casa parrocchiale, attaccata alla chiesa. Ricordo che ci diede dei libretti con delle lezioni e delle preghiere che imparavamo insieme.
Ogni tanto ci raccontava le storie dei Santi attraverso delle diapositive che a noi piacevano tanto perché era come un cartone animato: ricordo ancora benissimo la storia di Santa Maria Goretti. Ci sedevamo come in un cinema, lui si metteva dietro di noi col suo strano marchingegno di un’altra epoca e proiettava sul muro di fronte le immagini.
Un giorno arrivammo al catechismo e ci portò a mangiare i dolci che le persone del paese avevano portato come doni per una festa (forse Sant’Andrea); io gli chiesi perché non li mangiasse anche lui vista la quantità, mi rispose che era goloso di zuppa inglese e che un giorno si era abbuffato così tanto da sentirsi male, allora aveva capito che avrebbe rinunciato ai dolci non per paura di sentirsi male, ma perché… non mi era chiaro allora.
Non aveva la TV nel suo appartamento, anzi ricordo che all’inizio c’era, ma era staccata; in seguito la regalò.
Il giorno della mia Prima Comunione lo ricordo con grande orgoglio, perché anche se avevo solo nove anni, lui era riuscito a farmi comprendere l’importanza di quel momento.
Mi piaceva leggere e cantare a messa, e come tutti i bambini potevo sedermi sull’altare insieme al coro e dopo la messa andare in sacrestia a salutare il prete e augurargli buona domenica.
Io e le mie coetanee andavamo a casa sua anche in piena estate o nei giorni in cui non c’era catechismo. Lui ci faceva giocare a tombola e al gioco dell’oca. Aveva una tombola bellissima, la più colorata che avessi mai visto. Un giorno, dopo l’ennesima partita lui ci disse: “ora vi insegno il solfeggio”: prese un libro – IL BONA – e iniziò a spiegarci le note musicali e i tempi.
Imparammo in poco tempo a solfeggiare; avevo trovato lo stesso libro che usava lui tra i vecchi libri di mia nonna e lo usavo anche a casa. Lo finii in meno di due settimane, allora lui mi disse di andare in chiesa e iniziare a capire come si usava l’armonium. Aveva dei pedali a terra che dovevo premere alternativamente per poter produrre suoni. Don Francesco mi diede un altro libro, mi spiegò come funzionavano i tasti e mi lasciò lì a strimpellare.
Era appassionato di storia e letteratura. La sua citazione preferita era “galeotto fu il libro e chi lo scrisse”, ci raccontò quella storia un centinaio di volte.
In una stanza aveva un sacco di libri. Ogni tanto ne prendevo uno e me lo portavo a casa per leggerlo. I miei preferiti però non potevo portarli via: erano due volumi col riassunto di tutta la storia. Lui li utilizzava per spiegarci alcuni avvenimenti storici.
Un giorno d’estate, io indossavo dei pantaloncini, lui mi guardò il ginocchio sinistro, lo toccò in un preciso punto e mi disse: “questo non va bene così”. Io gli dissi che a me sembrava normale e che non mi aveva mai dato alcun problema. Intorno ai diciassette anni incominciai ad avere forti dolori al ginocchio, a diciotto mi operarono perché la mia rotula sinistra è leggermente spostata – l’ortopedico la indicò come rotula strabica – e da allora porto dei plantari per correggere il mio difetto. Sta di fatto che aveva ragione anche in quell’occasione.
Ho la sua foto commemorativa nel portafogli, la porto sempre con me. Ogni tanto mi viene in sogno e non passa giorno in cui io non pensi a quanto è stato importante per me, per la mia infanzia e per quello che sono oggi.
Che bel racconto… fortunatamente anche oggi esistono delle realtà cosi!
Un saluto