Il mestiere di Giuseppe, padre putativo di Gesù, offre lo spunto per la riflessione all’Udienza che prosegue con la catechesi su questa importante figura.
Giuseppe era umile, il suo mestiere di falegname non gli permetteva grandi guadagni, per questo la gente si stupiva sentendo parlare “il figlio di un falegname” al pari dei sapienti, non se lo spiegava. E proprio dall’umiltà di questo lavoro il Pontefice esprime la sua vicinanza a tutti coloro che svolgono mestieri usuranti, vengono sfruttati, coloro che vengono pagati in nero senza alcuna sicurezza, ai bambini e alle vittime del lavoro.
“Tutti questi sono fratelli e sorelle nostri, che si guadagnano la vita così, con lavori che non riconoscono la loro dignità. […] Quello che ti dà dignità non è portare il pane a casa. Tu puoi prenderlo dalla Caritas: no, questo non ti dà dignità. Quello che ti dà dignità è guadagnare il pane, e se noi non diamo alla nostra gente, ai nostri uomini e alle nostre donne, la capacità di guadagnare il pane, questa è un’ingiustizia sociale in quel posto, in quella nazione, in quel continente.” La pesante accusa è verso chi toglie questa dignità alle persone, come i Governi. “Non si tiene abbastanza conto del fatto che il lavoro è una componente essenziale nella vita umana, e anche nel cammino di santificazione. Lavorare non solo serve per procurarsi il giusto sostentamento: è anche un luogo in cui esprimiamo noi stessi, ci sentiamo utili, e impariamo la grande lezione della concretezza, che aiuta la vita spirituale a non diventare spiritualismo.”
E noi come affrontiamo il lavoro quotidiano e la fatica? Proviamo a pregare San Giuseppe: “[…] tu che hai provato l’ansia del domani, l’amarezza della povertà, la precarietà del lavoro […] proteggi i lavoratori nella loro dura esistenza quotidiana, difendendoli dallo scoraggiamento, dalla rivolta negatrice, come dalle tentazioni dell’edonismo.”