Il secondo momento pubblico del primo giorno di viaggio in Armenia di Papa Francesco è stata la : il Santo Padre, nel proprio intervento, ha usato parole chiare e decise, parlando anche della tragedia del genocidio armeno e auspicando che mai più si ricada negli orrori dettati da “odio, pregiudizio e sfrenato desiderio di dominio”.
Parole molto schiette, quelle del Pontefice, dette anche a costo di sollevare il malumore di coloro che tutt’oggi, a più di un secolo di distanza, ancora negano che il genocidio degli armeni sia mai avvenuto, tanto che padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana, ha spiegato che Francesco ha “usato la parola ‘genocidio’ per ricordare le ferite e sanarle non per riaprirle e rinnovarle, è una memoria per costruire riconciliazione e pace nel futuro“.
Lo stesso presidente dell’Armenia ha precisato, in merito, che “il genocidio armeno è un fatto storico e una realtà innegabile. Noi non cerchiamo colpevoli. – ha detto in una intervista rilasciata a Radio Vaticana – Vogliamo semplicemente che le cose siano chiamate con il loro nome, in quanto questo consentirà a due popoli vicini di muoversi verso una vera riconciliazione e un futuro prospero condiviso riconoscendo il passato e abbracciando il perdono e una coscienza pulita”.
Quel “grande male” ha aggiunto Francesco, usando le parole con le quali gli armeni stessi si rivolgono al genocidio, non ha però oscurato la luce del Vangelo nel cuore degli armeni: il popolo armeno “anche nei momenti più tragici della sua storia, ha sempre trovato nella Croce e nella Risurrezione di Cristo la forza per risollevarsi e riprendere il cammino con dignità. – ha commentato il successore di Pietro – Questo rivela quanto profonde siano le radici della fede cristiana e quale infinito tesoro di consolazione e di speranza essa racchiude“.
Facendo memoria di questo grande male, Bergoglio ha posto al centro dell’attenzione il nuovo male della società moderna: l’abuso del nome di Dio per nascondere crimini che nulla hanno a che fare con Dio. “A questo proposito, è di vitale importanza che tutti coloro che dichiarano la loro fede in Dio uniscano le loro forze per isolare chiunque si serva della religione per portare avanti progetti di guerra, di sopraffazione e di persecuzione violenta, strumentalizzando e manipolando il Santo Nome di Dio. – ha detto Papa Francesco – Oggi, in particolare i cristiani, come e forse più che al tempo dei primi martiri, sono in alcuni luoghi discriminati e perseguitati per il solo fatto di professare la loro fede, mentre troppi conflitti in varie aree del mondo non trovano ancora soluzioni positive, causando lutti, distruzioni e migrazioni forzate di intere popolazioni. È indispensabile perciò che i responsabili delle sorti delle nazioni intraprendano con coraggio e senza indugi iniziative volte a porre termine a queste sofferenze, facendo della ricerca della pace, della difesa e dell’accoglienza di coloro che sono bersaglio di aggressioni e persecuzioni, della promozione della giustizia e di uno sviluppo sostenibile i loro obiettivi primari“.
L’invito che il Papa ha quindi fatto al popolo armeno è stato quello di “non far mancare il suo prezioso contributo alla comunità internazionale“, proprio perché l’Armenia “ha sperimentato queste situazioni in prima persona; conosce la sofferenza e il dolore, conosce la persecuzione; conserva nella sua memoria non solo le ferite del passato, ma anche lo spirito che gli ha permesso, ogni volta, di ricominciare di nuovo“.
In quasi tutti noi si cela il prepotente bisogno di considerarci strumenti nelle mani di altri; cosí ci liberiamo della responsabilitá di atti imputabili ai nostri impulsi discutibili e alle nostre tendenze. Si aggrappano a quest’alibi sia i deboli che i forti. I secondi nascondono le loro malefatte sotto la virtú dell’obbedienza. Ma anche i primi esigono un’assoluzione, e lo fanno proclamandosi strumenti di un’entitá superiore: Dio, la storia, il fato, la nazione o l’umanitá.