Il Vangelo su cui si concentra il Regina Coeli di questa calda domenica di maggio è quello di Giovanni 14,27 nel quale Gesù si trova all’Ultima Cena con i suoi discepoli e li saluta con due frasi simili.
“Vi lascio la pace” e “Vi do la mia pace” sembrano la stessa cosa ma non lo sono.
Non è un bel momento, “Giuda è uscito per tradirlo, Pietro sta per rinnegarlo, e quasi tutti per abbandonarlo: il Signore lo sa, eppure non rimprovera, non usa parole severe, non fa discorsi duri. Anziché mostrare agitazione, rimane gentile fino alla fine.”
Nonostante la paura che prova in quel momento per ciò che sa avverrà tra poco, è tranquillo, “è in pace, una pace che viene dal suo cuore mite.” Vuole insegnarci che è possibile essere miti, Egli ha incarnato la mitezza “proprio nel momento più difficile; e desidera che ci comportiamo così anche noi, che siamo gli eredi della sua pace.”
Dobbiamo quindi chiederci, esorta il Pontefice, “noi discepoli di Gesù ci comportiamo così: allentiamo le tensioni, spegniamo i conflitti? Siamo anche noi in attrito con qualcuno, sempre pronti a reagire, a esplodere, o sappiamo rispondere con la non violenza, sappiamo rispondere con gesti e parole di pace?”
Con la seconda frase invece Gesù ci fa capire che sa che non è facile seguire il Suo esempio, “che da soli non siamo in grado di custodire la pace, che ci serve un aiuto, un dono. La pace, che è impegno nostro, è prima di tutto dono di Dio.” È lo Spirito Santo, che ci dona la forza per seguire la giusta via.
“Nessun peccato, nessun fallimento, nessun rancore deve scoraggiarci dal domandare con insistenza il dono dello Spirito Santo che ci dà la pace. Più sentiamo che il cuore è agitato, più avvertiamo dentro di noi nervosismo, insofferenza, rabbia, più dobbiamo chiedere al Signore lo Spirito della pace.”