All’Angelus il Pontefice invita a riflettere sul verbo cercare, e lo fa illustrando il brano del Vangelo di Luca 19,1-10, che vede l’incontro di Gesù con il capo dei pubblicani Zaccheo nella città di Gerico.
Innanzitutto si concentra su ciò che fa Zaccheo per vedere Gesù che passa; “Si tratta di un pubblicano, cioè uno di quegli ebrei che raccoglievano le tasse per conto dei dominatori romani – un traditore della patria – e approfittavano di questa loro posizione. Per questo, Zaccheo era ricco, odiato da tutti e additato come peccatore”. Viene descritto come un uomo basso, in tutti i sensi. Per poter vedere dunque si arrampica su un albero, rendendosi quasi ridicolo.
“Ancora non lo conosce, ma aspetta qualcuno che lo liberi della sua condizione – moralmente bassa –, che lo faccia uscire dalla palude in cui si trova”, insegnandoci che nulla è perduto, mai. E cosa fa Gesù? Lo guarda, e lo invita a scendere. “È un’immagine molto bella, perché se Gesù deve alzare lo sguardo, significa che guarda Zaccheo dal basso. Questa è la storia della salvezza: Dio non ci ha guardato dall’alto per umiliarci e giudicarci, no; al contrario, si è abbassato fino a lavarci i piedi, guardandoci dal basso e restituendoci dignità”.
Ricordiamo dunque, sottolinea Papa Francesco, che “lo sguardo di Dio non si ferma mai al nostro passato pieno di errori, ma guarda con infinita fiducia a ciò che possiamo diventare”. Non tiene conto dei nostri errori, dei peccati commessi, di ciò che siamo stati, ma di ciò che potremmo essere, se lo vogliamo. E se accettiamo Dio nella nostra vita.
E inoltre, chiede, noi come guardiamogli altri? I peccatori, coloro che hanno commesso degli errori? Li guardiamo dall’alto, come a volerli giudicare, in segno di disprezzo, o dal basso con sguardo amorevole e comprensivo come insegna Gesù?