Fa il punto all’Udienza il Pontefice su quanto appreso finora dalle lettere di San Paolo, ovvero che siamo stati liberati grazie al sacrificio di Cristo, quindi dall’amore.
Ed è questo amore che ci apre a tutti e ci fa accogliere ogni popolo, ogni cultura, non conta più da dove veniamo ma, come scrisse San Paolo in Galati 5,6 quello che conta è “‘la fede che si rende operosa per mezzo della carità.’ Credere che siamo stati liberati e credere in Gesù Cristo che ci ha liberati: questa è la fede operosa per la carità.” E a chi lo accusava di voler piacere a tutti con queste parole, egli rispose che è a Dio che voleva piacere, solo a Lui si deve rendere conto.
“Accogliere la fede comporta per lui rinunciare non al cuore delle culture e delle tradizioni, ma solo a ciò che può ostacolare la novità e la purezza del Vangelo. Perché la libertà ottenutaci dalla morte e risurrezione del Signore non entra in conflitto con le culture, con le tradizioni che abbiamo ricevuto, ma anzi immette in esse una libertà nuova, una novità liberante, quella del Vangelo.” Questo è un pensiero su cui riflettere anche oggi. La libertà acquisita ci fa sviluppare il bene delle altre culture e tradizioni in un universalismo della fede.
Il senso “dell’inculturazione del Vangelo” è “essere capaci di annunciare la Buona Notizia di Cristo Salvatore rispettando ciò che di buono e di vero esiste nelle culture.” Il cristianesimo deve essere un’aggiunta, non un’imposizione come tante volte abbiamo visto nel corso degli anni, persino con l’uso della violenza.
Come Cristo si è “unito ad ogni uomo” , abbiamo “il dovere di rispettare la provenienza culturale di ogni persona, inserendola in uno spazio di libertà che non sia ristretto da alcuna imposizione dettata da una sola cultura predominante.” Questo è il cattolicesimo, è universalità poiché “Cristo è nato, morto e risorto per tutti.”