Si medita all’Angelus sull’affermazione di Gesù di fronte a Pilato e alla folla che lo vuole condannato a morte: “Io sono re”; parole mai dette prima, anzi.
Ma Gesù vuole far comprendere che il suo regno non è quello che conosciamo noi, non è “di questo mondo”. Difatti “Egli non viene per dominare, ma per servire. Non arriva con i segni del potere, ma con il potere dei segni. Non è rivestito di insegne preziose, ma sta spoglio sulla croce. Ed è proprio nell’iscrizione posta sulla croce che Gesù viene definito ‘re’”. Se fino ad allora, davanti alla folla acclamante, prendeva le distanze da questo titolo, ora che tutti sono contro di lui, lo attribuisce a se stesso perché “sovranamente libero dal desiderio della fama e della gloria terrena.”
Nonostante sia superiore a tutti, tratta tutti al suo stesso livello. “Il suo Regno è liberante, non ha nulla di opprimente. Egli tratta ogni discepolo da amico, non da suddito.[…] desidera invece fratelli con cui condividere la sua gioia.” Egli è libero e intorno a sé vuole gente libera, non servilismo, per questo dice a Pilato “Io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità” (Gv 18,37).
Qual è questa verità? e in che maniera ci rende liberi? Il Pontefice è chiaro su questo punto: “ci libera dalle finzioni, dalle falsità che abbiamo dentro, dal doppio linguaggio. Stando con Gesù, diventiamo veri. La vita del cristiano non è una recita dove si può indossare la maschera che più conviene. Perché quando Gesù regna nel cuore, lo libera dall’ipocrisia, lo libera dai sotterfugi, dalle doppiezze.” Se seguiamo la sua strada siamo limpidi e sinceri, non siamo corrotti e non copriamo la verità; “tutti siamo peccatori. Ma, quando si vive sotto la signoria di Gesù, non si diventa corrotti, non si diventa falsi, inclini a coprire la verità. Non si fa doppia vita.”