Papa Francesco, incontrando i rappresentanti delle popolazioni del Centro Italia colpite dal terremoto, ha condiviso una breve riflessione usando le parole che gli stessi superstiti del terremoto hanno voluto condividere con il Pontefice per raccontare la loro esperienza.
Del resto, ha detto Francesco, “nella vostra situazione il peggio che si può fare è fare un sermone, il peggio. Soltanto, [ho voluto] prendere quello che dice il vostro cuore e farlo proprio e dirlo con voi, e fare una riflessione un po’ su questo“. In tal senso il Vescovo di Roma ha riassunto il racconto dei superstiti per mezzo di cinque parole: ricostruire, mani, ferita, ritrovarsi e vicinanza.
La prima parola, ricostruire, è una parola che si ripete spesso ma, ha sottolineato Francesco, serve “ricostruire i cuori ancor prima delle case“: ricostruire i cuori “non è ottimismo, no, non c’è posto per l’ottimismo qui: sì per la speranza, ma non per l’ottimismo. L’ottimismo è un atteggiamento che serve un po’ in un momento, ti porta avanti, ma non ha sostanza. Oggi serve la speranza, per ricostruire, e questo si fa con le mani, un’altra parola che mi ha toccato“.
Le mani, ci ricordano che “per ricostruire ci vogliono il cuore e le mani, le nostre mani, le mani di tutti. Quelle mani con le quali noi diciamo che Dio, come un artigiano, ha fatto il mondo“.
Ferita è un’altra parola che è spesso stata ripetuta dai superstiti: “Ognuno ha sofferto qualcosa. Alcuni hanno perso tanto, non so, la casa, anche i figli o i genitori, quel coniuge… Ma non ferire. Il silenzio, le carezze, la tenerezza del cuore ci aiuta a non ferire“. In tal senso è importante “Non ferire di più quello che è ferito. E non ferire con parole vuote, tante volte, o con notizie che non hanno il rispetto, che non hanno la tenerezza davanti al dolore. Non ferire“.
Queste ferite, però, compiono dei miracoli in chi le porta: sono i “miracoli nel momento del dolore:… si lasciano da parte antiche storie e ci ritroviamo insieme in un’altra situazione. Ritrovarsi: col bacio, con l’abbraccio, con l’aiuto mutuo…, anche con il pianto. Piangere da soli fa bene, è un’espressione davanti a noi stessi e a Dio; ma piangere insieme è meglio, ci ritroviamo piangendo insieme“.
E uno di questi miracoli del pianto è la vicinanza: ” “Siamo stati vicini e rimaniamo vicini l’uno all’altro”. E la vicinanza ci fa più umani, più persone di bene, più coraggiosi. Una cosa è andare soli, sulla strada della vita, e una cosa è andare per mano con l’altro, vicino all’altro. E questa vicinanza voi l’avete sperimentata“.
“Queste sono le cose che più hanno toccato il cuore delle due testimonianze, e per questo ho voluto prendere le vostre parole per farle mie“, ha concluso Papa Francesco, “Grazie per essere venuti oggi e in alcune udienze di questi mesi. Grazie per tutto quello che voi avete fatto per aiutarci, per costruire, ricostruire i cuori, le case, il tessuto sociale; anche per ricostruire [riparare] col vostro esempio l’egoismo che è nel nostro cuore che non abbiamo sofferto questo. Grazie tante a voi. E sono vicino a voi“.
Ho conosciuto da vicino persone che anche davanti a grossi dolori sono rimasti divisi, ognuno assiso nel proprio “trono”. Sorelle e fratelli “terremotati”, in questa dolorosa esperienza avete riscoperto il dono di DIO, amore e solidarieta’, risvegliato molti cuori “dormienti”, il mio cuore non vi ha MAI abbandonati, anche questa notte nel caldo del mio letto ho ringraziato DIO e pregato perché questo diritto della vita ci sia per voi e tutti i senzatetto, agisco concretamente con s.m.s. solidale, come insegna Gesu’, Papa Francesco con parole e azioni, li seguo nelle mie possibilita’, ma li seguo.