“La Colombia ha bisogno del vostro sguardo, sguardo di Vescovi, per sostenerla nel coraggio del primo passo verso la pace definitiva, la riconciliazione, il ripudio della violenza come metodo, il superamento delle disuguaglianze che sono la radice di tante sofferenze, la rinuncia alla strada facile ma senza uscita della corruzione”.
È questo il messaggio di Papa Francesco ai vescovi del Paese latinoamericano, incontrati a Bogotà. Nel discorso il Papa è sicuro che la Colombia abbia in sé “qualcosa di originale che richiama fortemente l’attenzione”, a partire dal fatto che “non è mai stata una meta completamente realizzata, né una destinazione totalmente raggiunta, né un tesoro totalmente posseduto”. Ma anche per la sua “ricchezza umana”, la sua storia di fede e quell’“indomabile coraggio di resistere alla morte, non solo annunciata, ma molte volte seminata”. Tutto questo è possibile vederlo con gli occhi umili di un pellegrino e come tale Francesco dice di accostarsi al Paese “desideroso di condividere Cristo Risorto, per il quale nessun muro è eterno, nessuna paura è indistruttibile, nessuna piaga è incurabile”.
Il Papa si concentra sul senso del motto del viaggio, “fare il primo passo”. In realtà, osserva, è Dio “il Signore del primo passo”, come dimostra la Bibbia, il suo accostarsi ad Abramo e Mosè, fino al “passo irreversibile” compiuto con l’incarnazione di Gesù, il quale dona a chi lo accoglie il dono della “libertà di poter compiere sempre il primo passo” senza mai smarrire la strada. Non perdete mai questa libertà, è l’esortazione di Francesco ai vescovi. Ricercate l’unità con Gesù nella preghiera e “non misuratevi con il metro di quelli che vorrebbero che foste solo una casta di funzionari piegati alla dittatura del presente. Abbiate invece sempre fisso lo sguardo nell’eternità di Colui che vi ha scelti, pronti ad accogliere il decisivo giudizio delle sue labbra”.
Molto importante, sostiene Francesco, preservare la singolarità delle sue differenti e legittime forze, le sensibilità pastorali, le peculiarità regionali, le memorie storiche, le ricchezze delle peculiari esperienze ecclesiali. Costruite una Chiesa “che offra a questo Paese una testimonianza eloquente di quanto si può progredire quando si è disposti a non rimanere nelle mani di pochi”, riservando una “particolare sensibilità per le radici afro-colombiane” della vostra terra.
I vescovi colombiani devono essere in prima linea nel “toccare la carne ferita” della storia del loro Paese e della loro gente. “Voi non siete né tecnici né politici, siete Pastori” e in quanto tali dovete annunciare la Parola della riconciliazione e della misericordia. “Dalle vostre labbra di legittimi Pastori di Cristo, quali siete, la Colombia ha il diritto di essere interpellata dalla verità di Dio, che ripete continuamente: ‘Dov’è tuo fratello?’. E’ un interrogativo che non può essere taciuto, nemmeno quando chi lo ascolta non può far altro che abbassare lo sguardo, confuso, e balbettare la propria vergogna per averlo venduto, magari al prezzo di qualche dose di stupefacente o un errato concetto di ragion di Stato, oppure per la falsa coscienza che il fine giustifica i mezzi”.
“Non vi porto ricette né voglio lasciarvi una lista di compiti”, dice, ma l’invito a svolgere il proprio impegno con “serenità”. Francesco rivolge un pensiero alle famiglie colombiane e alla difficoltà oggi di difendere la vita, si sofferma sulla “piaga della violenza e dell’alcolismo”, la “fragilità del vincolo matrimoniale e l’assenza dei padri di famiglia con le sue tragiche conseguenze di insicurezza e orfanezza”. E guarda ai “tanti giovani minacciati dal vuoto dell’anima e presi dalla droga come via di uscita, o dallo stile di vita facile o dalla tentazione sovversiva”. Invitate le famiglie a essere come “alberi fecondi”, mentre per quanto riguarda i giovani “non abbiate paura di alzare serenamente la voce per ricordare a tutti che una società che si lascia sedurre dal miraggio del narcotraffico trascina sé stessa in quella metastasi morale che mercanteggia l’inferno e semina dovunque la corruzione, e nello stesso tempo ingrassa i paradisi fiscali”. Francesco non dimentica i sacerdoti, per i quali invoca formazione e vicinanza, né i religiosi e le religiose, questi ultimi definiti “lo schiaffo cherigmatico a ogni mondanità”.
L’ultima considerazione il Papa la dedica alla Chiesa in Amazzonia. Per tutti noi, afferma, è “una prova decisiva per verificare se la nostra società, quasi sempre ridotta al materialismo e al pragmatismo, è in grado di custodire ciò che ha ricevuto gratuitamente, non per saccheggiarlo, ma per renderlo fecondo”. “Ho ascoltato che in alcune lingue native amazzoniche per riferirsi alla parole “amico” si usa l’espressione “l’altro mio braccio”. Siate pertanto l’altro braccio dell’Amazzonia. La Colombia non la può amputare – conclude Francesco – senza essere mutilata nel suo volto e nella sua anima”.
Accompagno il Santo Padre e i fratelli colombiani con la preghiera. Hanno fatto fronte a tante difficoltà, ma l’oppressione mette ancora nella prova le famiglie, i giovani e gli stessi membri della Chiesa. Mi unisco alla paterna e amichevole esortazione del Santo Padre nel continuare ad andare avanti fissando lo sguardo sul Risorto.