Le riflessioni all’Angelus odierno raccontano di un Gesù nel Tempio che mette in guardia le persone intorno a lui che ne lodano la bellezza, dalla precarietà della vita.
Mentre la gente infatti ammira l’edificio Gesù l’avvisa che non ne rimarrà una sola pietra dopo “rivoluzioni e guerre, terremoti carestie, pestilenze e persecuzioni”. Questa però, precisa il Pontefice, non è una brutta notizia. Il Figlio di Dio avverte che con la perseveranza potremo salvarci. Che significa? “Gesù chiede di essere ‘severi’, ligi, persistenti in ciò che a Lui sta a cuore, in ciò che conta. Perché, quel che davvero conta, molte volte non coincide con ciò che attira il nostro interesse: spesso, come quella gente al tempio, diamo priorità alle opere delle nostre mani, ai nostri successi, alle nostre tradizioni religiose e civili, ai nostri simboli sacri e sociali”. Ma tutte queste cose sono destinate a passare.
Bisogna invece “concentrarsi su ciò che resta, per evitare di dedicare la vita a costruire qualcosa che poi sarà distrutto, come quel tempio, e dimenticarsi di edificare ciò che non crolla, di edificare sulla sua parola, sull’amore, sul bene. Essere perseveranti, essere severi e decisi nell’edificare su ciò che non passa”.
La parola perseveranza quindi indica questo, “costruire ogni giorno il bene”, anche e soprattutto quando ciò che ci circonda invece ci spinge al contrario. Continuare a pregare senza trovare la scusa di non averne il tempo, e non seguire l’esempio di chi non rispetta le regole. Perseveriamo nel bene. E chiediamoci: “Sono costante oppure vivo la fede, la giustizia e la carità a seconda dei momenti: se mi va prego, se mi conviene sono corretto, disponibile e servizievole, mentre, se sono insoddisfatto, se nessuno mi ringrazia, smetto?”
Dobbiamo essere perseveranti, “la perseveranza è il riflesso nel mondo dell’amore di Dio, perché l’amore di Dio è fedele, è perseverante, non cambia mai”.