Argomento dell’Angelus trattato dal Pontefice questa caldissima prima domenica di luglio è il modo di portare la buona notizia, la Parola del Signore.
Nel Vangelo di Luca, osserva Papa Francesco, leggiamo che Gesù “designò altri settantadue [discepoli] e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.” Perché in coppia e non singolarmente, quando sarebbe stato forse più semplice?
Da soli infatti non abbiamo impedimenti, non corriamo il rischio “che uno si stanchi o si ammali lungo la via, costringendo anche l’altro a fermarsi.” Nonostante questo però il Signore li manda in coppia. “Le istruzioni che Egli dà loro sono non tanto su che cosa devono dire, quanto su come devono essere: cioè non sul ‘libretto’ che devono dire, no; sulla testimonianza di vita, la testimonianza da dare più che sulle parole da dire.”
L’esempio insomma, questo devono portare; “è anzitutto la vita stessa dei discepoli ad annunciare il Vangelo: il loro saper stare insieme, il rispettarsi reciprocamente, il non voler dimostrare di essere più capace dell’altro, il concorde riferimento all’unico Maestro.” Saper lavorare assieme per un unico scopo, portare nel mondo la Parola del Signore e farla conoscere a più gente possibile.
Tutto quello che facciamo in proposito potrebbe anche sembrare perfetto, ma “se non c’è disponibilità alla fraternità, la missione evangelica non avanza. […] la missione evangelizzatrice non si basa sull’attivismo personale, cioè sul ‘fare” ma sulla testimonianza di amore fraterno, anche attraverso le difficoltà che il vivere insieme comporta.” Insieme è meglio, quindi.
Infine Papa Francesco ci esorta a farci un esame di coscienza, a chiederci come noi “portiamo agli altri la buona notizia del Vangelo.” Con quale spirito, quello fraterno o quello competitivo e protagonista del mondo? I cristiani sono una comunità, e ognuno deve tenere conto dell’altro, da soli non si va avanti.