Dopo aver spiegato come la costruzione della pace dipenda dai piccoli gesti che ognuno compie quotidianamente e come la stessa esistenza della Chiesa dipenda da ogni cristiano, nell’omelia di oggi, Papa Francesco, ha sottolineato come ci si debba sforzare di costruire, ogni giorno, a piccoli passi, la cultura dell’incontro.
Certo questo non è facile, ha aggiunto il Pontefice, poiché viviamo in una cultura dell’indifferenza, eppure è proprio iniziando dai piccoli gesti, per esempio dall’incontrarsi e parlare a tavola, spegnendo la televisione e il telefonino, che è possibile dare inizio ad un cambiamento che è in grado di ri-generare la vita delle persone, come è successo alla vedova di Nain.
È proprio l’incontro tra Gesù che entra nella città e la vedova che accompagnava il figlio defunto fuori dalla città, del resto, incontro narrato nella Lettura del Vangelo (Lc 7,11-17), che ha dato modo al Santo Padre di parlare dell’incontro, che, ha sottolineato Bergoglio, è un’altra cosa rispetto al semplice trovarsi assieme, ma rimanendo ognuno con la mente per i fatti propri.
L’incontro vero, è quello del Vangelo, che nel brano di oggi viene dipinto come “un incontro fra un uomo e una donna, fra un figlio unico vivo e un figlio unico morto; fra una folla felice, perché aveva incontrato Gesù e lo seguiva, e un gruppo di gente, piangendo, accompagnava quella donna, che usciva da una porta della città; incontro fra quella porta di uscita e la porta di entrata. L’ovile. Un incontro che ci fa riflettere sul modo di trovarci fra noi“.
Trovarci tra di noi, infatti, ma rimanendo ognuno nel proprio mondo non è incontrarsi. Pansiamo, ha detto Francesco, “a tavola, in famiglia, quante volte si mangia, si guarda la tv o si scrivono messaggi al telefonino. Ognuno è indifferente a quell’incontro. Anche proprio nel nocciolo della società, che è la famiglia, non c’è l’incontro“.
Il punto è che “noi siamo abituati ad una cultura dell’indifferenza e dobbiamo lavorare e chiedere la grazia di fare una cultura dell’incontro, di questo incontro fecondo, di questo incontro che restituisca ad ogni persona la propria dignità di figlio di Dio, la dignità di vivente. – ha concluso il Vescovo di Roma – Noi siamo abituati a questa indifferenza, quando vediamo le calamità di questo mondo o le piccole cose: ‘Ma, peccato, povera gente, quanto soffrono’, e andare avanti“.
Non è sufficiente vedere l’altro: bisogna incontrare l’altro, bisogna guardarlo, fermarsi con lui, toccarlo: “se io non mi fermo, se io non guardo, se io non tocco, se io non parlo, non posso fare un incontro e non posso aiutare a fare una cultura dell’incontro“.
“Che questo ci aiuti a lavorare per questa cultura dell’incontro, così semplicemente come l’ha fatto Gesù. Non solo vedere: guardare. Non solo sentire: ascoltare. – è stata la preghiera conclusiva del Pontefice – Non solo incrociarsi: fermarsi. Non solo dire ‘peccato, povera gente’, ma lasciarsi prendere dalla compassione. E poi avvicinarsi, toccare e dire nella lingua che ad ognuno viene in quel momento, la lingua del cuore: ‘Non piangere’, e dare almeno una goccia di vita“.
Santo Padre, le Sue parole sulla cultura dell’incontro sono stupende e spero per tutti noi che un giorno tutto questo si avvererà. Ho quasi 50 anni e sto cercando di creare la cultura dell’incontro in tutti i modi, ma il demonio mi fa fallire tutti i tentativi. Una persona mi ha rivelato: non sai quanti seguaci hai, ma non so se crederci. Mi devo vergognare perché sono un cristiano, perché sono onesto, perché sono coerente, perché sono un non allineato, perché non mi ha voluto nessuno e per mille altri motivi.