che Sant’Agostino nella sua personale ricerca di Dio ha commesso molti errori ma non ha mai smesso di ascoltare la sua anima inquieta sino a giungere a scoprire che mentre lui cercava Dio, Dio stesso – per primo – cercava Agostino.
“In Agostino è proprio questa inquietudine del cuore che lo porta all’incontro personale con Cristo” dice Papa Francesco. Ed é proprio quando Agostino si accorge che Dio gli é vicino che la sua fede in qualche modo matura, giunge a compimento non appagandosi ma cambiando obbiettivo.
Se prima l’inquietudine di Agostino era rivolta alla ricerca di Dio, ora Sant’Agostino diventa inquieto nel conoscere il più possibile Dio e nel farlo conoscere agli altri. Questi due elementi, dice il Pontefice, caratterizzano “l’inquietudine dell’amore”.
Egli “non si stanca di annunciarlo, di evangelizzare con coraggio, senza timore, – dice Papa Francesco – cerca di essere immagine di Gesù Buon Pastore che conosce le sue pecore”. La testimonianza agli altri, l’annuncio del vangelo passa non solo per le parole ma per l’essere immagine stessa di quello che si predica: testimonianza concreta oltre che orale.
Non solo, come ci dice il Vangelo il buon pastore sa quando un pecora del suo gregge é smarrita ed esce per riportarla con le altre. Questo é un requisito fondamentale del buon pastore, che Papa Francesco definisce come il “sentire l’odore delle pecore“, il percepire a naso quando qualcosa non va e a chi non va per andare a soccorrerli.
E’ questo il grande insegnamento che Sant’Agostino ci lascia, é questo il suo vero tesoro: l’“atteggiamento di uscire sempre verso Dio, uscire sempre verso il gregge”. Come ci ha detto nell’ “La fede consiste nella disponibilità a lasciarsi trasformare sempre di nuovo dalla chiamata di Dio.”
Questo genera un ossimoro, “la pace dell’inquietudine” che troviamo in Sant’Agostino come in tutta la storia dell’uomo. “Ecco il paradosso: nel continuo volgersi verso il Signore, l’uomo trova una strada stabile che lo libera dal movimento dispersivo cui lo sottomettono gli idoli.”
Papa Francesco ci invita quindi alla riflessione personale sul nostro essere inquieti o anestetizzati, rivolgendosi sia ai fedeli che ai consacrati:
1) Possiamo domandarci: sono inquieto per Dio, per annunciarlo, per farlo conoscere? O mi lascio affascinare da quella mondanità spirituale che spinge a fare tutto per amore di se stessi?
2) Noi consacrati …mi sono per così dire ‘accomodato’ nella mia vita cristiana, nella mia vita sacerdotale, nella mia vita religiosa, anche nella mia vita di comunità, – domanda Papa Francesco – o conservo la forza dell’inquietudine per Dio, per la sua Parola, che mi porta ad ‘andare fuori’, verso gli altri?
ha ragione il Papa bellisssime parole amare Dio mi porta pace , ma ho un forte desiderio di far conoscere anche agli altri questo tesoro meraviglioso oggi pensavo che devo testimoniare il Signore il più possibile tramite le parole, i gesti , il silenzio, l’ ascolto essere una fiamma d’amore una luce del Signore un messaggero di Dio che cerca di fare la Sua volontà per darGli gloria per collaborare al Suo Regno. E tutto questo si può fare chiedendo sempre uno dei doni più grandi dello Spirito l’Umiltà chiedere al Signore la grazia di essere umile, una delle grazie più grandi , ma più difficile da non perdere. Grazie Santo Padre mi sta insegnado molto e La sento vicino.
Il timor di Dio lo porto sempre con me. Ho fede in Lui anche se riconosco di essermi un po’ “accomodata” qualche volta sulle mie meditazioni. Ma ho sempre pensato a Lui.