La pazienza di Dio, la vicinanza di Dio e la tenerezza di Dio sono state le tre chiavi di lettura attorno alle quali Papa Francesco ha sviluppato la propria omelia nel corso della Santa Messa nella Solennità della Natività del Signore: “la nascita del Salvatore” è una “luce che penetra e dissolve la più densa oscurità“.
Da dove nasce questa oscurità, si è chiesto il Santo Padre: “l’origine delle tenebre che avvolgono il mondo si perde nella notte dei tempi” a partire dal “primo crimine dell’umanità, quando la mano di Caino, accecato dall’invidia, colpì a morte il fratello Abele – ha detto – Così, il corso dei secoli è stato segnato da violenze, guerre, odio, sopraffazione“.
Di fronte a questo dilagare delle tenebre, “Dio, che aveva riposto le proprie attese nell’uomo fatto a sua immagine e somiglianza, aspettava” ha ulteriormente commentato il Papa “Egli ha atteso talmente a lungo che forse ad un certo punto avrebbe dovuto rinunciare. Invece non poteva rinunciare, non poteva rinnegare sé stesso (cfr 2 Tm 2,13). – ha detto – Perciò ha continuato ad aspettare con pazienza di fronte alla corruzione di uomini e popoli. La pazienza di Dio. Quanto è difficile capire questo: la pazienza di Dio verso di noi!“
È proprio questo che ci insegna la storia: “che la sua paziente fedeltà è più forte delle tenebre e della corruzione” ed è proprio questo il significato dell’ “annuncio della notte di Natale. Dio non conosce lo scatto d’ira e l’impazienza; è sempre lì, come il padre della parabola del figlio prodigo, in attesa di intravedere da lontano il ritorno del figlio perduto; e tutti i giorni, con pazienza. La pazienza di Dio“.
La consapevolezza di questo invita la nostra coscienza a riflettere:
Come accogliamo la tenerezza di Dio? Mi lascio raggiungere da Lui, mi lascio abbracciare, oppure gli impedisco di avvicinarsi? “Ma io cerco il Signore” – potremmo ribattere. Tuttavia, la cosa più importante non è cercarlo, bensì lasciare che sia Lui a cercarmi, a trovarmi e ad accarezzarmi con amorevolezza. Questa è la domanda che il Bambino ci pone con la sua sola presenza: permetto a Dio di volermi bene?
E ancora: abbiamo il coraggio di accogliere con tenerezza le situazioni difficili e i problemi di chi ci sta accanto, oppure preferiamo le soluzioni impersonali, magari efficienti ma prive del calore del Vangelo? Quanto bisogno di tenerezza ha oggi il mondo! Pazienza di Dio, vicinanza di Dio, tenerezza di Dio.
“Permetto a Dio di volermi bene”? E’ molto difficile rispondere. Ma l’amore di Dio, non ha confini.
“Abbiamo il coraggio di accogliere con tenerezza le situazioni difficili…”? E’ molto difficile da porre in pratica.
Da soli, è difficile. L’imperfezione dell’uomo non sempre lo rende fattibile, ma con l’aiuto di Dio tutto è semplificabile. Che Dio ci aiuti. Padre nostro…non indurci in tentazione, ma liberaci dal Male. AMEN.
La Natività di questo 2014, secondo me ha dello speciale divino. Teniamoci Papa Francesco STRETTISSIMO non lasciamocelo scappare. Peppino
A PROPOSITO DI TENEREZZA DEL POVERO E TREMANTE BAMBINELLO NELLA NOVENA DI NATALE
Si usciva di casa, in Via Spinelli, al richiamo delle campane per la Novena di Natale. La strada era scura, ma con la brina che luccicava all’approssimarsi del fascio di luce dei pochi lampioni gialli. Nella roggia l’acqua scorreva silenziosa.
La mano nella tasca, al riparo dal gelo talvolta pungente, stringeva un pezzetto di pane che, sbocconcellato, avrebbe dato gioia al ritorno: l’unica concessione prima della cena.
Superato il Pontello della “Bruna”, si andava verso la piazza. Alla sinistra la mole della Basilica ombreggiava nel cielo, ormai quasi buio, ma al suo interno era già un brillare di lampade e di molte lunghe candele sull’altare, che davano risalto all’oro dei paramenti ricchi di colore.
In prima fila noi bimbi, nell’attesa trepidante di ascoltare, tra le letture, le parole “povero e tremante bambinello”, con le quali la tenerezza del Pargolo scendeva dolce in noi e con essa restavamo sino allo spegnersi fumigante dell’ultima candela, propiziato dall’addetto col lungo spengitoio.
Intuivamo che da grande quel Bambinello avrebbe continuato ad amarci tutti nel Suo cammino tra fuga in Egitto, parabole da noi avvertite più nell’azione che nel significato, forse appena sfiorato, e luminosi miracoli, sino alla gioia delle Palme, cui doveva seguire il tremore del Getsemani e poi il dramma del Golgota.
Sensazioni che calavano in un mondo radicato nelle figure familiari, che avremmo presto incontrato attorno al parco, ma sicuro desco, nel tepore della casa. Poi il brano letto dalla mamma o la ripetuta favola di sempre o, magari, l’ultimo maneggiare discreto di bigliette colorate e figurine, che già avevano occupato buona parte del giorno. Tutto, infine, si concludeva rapidamente, nell’eco ovattata del Rosario, col capo reclinante verso un sonno sereno nell’attesa certa del nuovo giorno.
“Povero e tremante bambinello”, questo passaggio quasi materializzava l’immagine riccioluta dell’iconografia più classica, che partecipava della quotidianità nelle case, assieme alla Madonnina di gesso, al Sacro Cuore o anche a Maria Bambina, fasciata e sempre protetta da una campana di vetro, a testimoniare una Fede ricevuta e quotidianamente confermata nel duro lavoro, con i suoi ritmi abituali, e la discreta, ma vigile, attenzione ai vicini nei vecchi cortili e nelle ampie corti.
Chissà se nell’imminente novena del Natale 2002 tutto può accendersi come allora negli occhi sgranati di un bambino! Per noi anziani quel Bambinello è ormai in Croce; porta i segni del Suo cammino, che dalla Natività, giunge al Sacrificio, tanto più vicino, quest’ultimo, al sentire di chi ha vissuto, ancorché memore della tenerezza del povero e tremante bambinello.
Questa tenerezza è pero capace di rimuovere il sedimento di un vissuto anche a lungo disattento e di ravvivare il luccichio di una speranza che si alimenti della Natività. Essa ha portato Dio all’uomo
e l’uomo a Dio, con la Redenzione e la Resurrezione.
Dovrebbe bastare per dare spessore al presente di ciascuno ed aprirlo al futuro nella pienezza e nella forza dell’essere nati e del cammino che ci attende con Cristo Gesù, vero Uomo e vero Dio.
Giancarlo Pallavicini
A PROPOSITO DI TENEREZZA DEL POVERO E TREMANTE BAMBINELLO
NELLA NOVENA DI NATALE
Si usciva di casa, in Via Spinelli, al richiamo delle campane per la Novena di Natale. La strada era scura, ma con la brina che luccicava all’approssimarsi del fascio di luce dei pochi lampioni gialli. Nella roggia l’acqua scorreva silenziosa.
La mano nella tasca, al riparo dal gelo talvolta pungente, stringeva un pezzetto di pane che, sbocconcellato, avrebbe dato gioia al ritorno: l’unica concessione prima della cena.
Superato il Pontello della “Bruna”, si andava verso la piazza. Alla sinistra la mole della Basilica ombreggiava nel cielo, ormai quasi buio, ma al suo interno era già un brillare di lampade e di molte lunghe candele sull’altare, che davano risalto all’oro dei paramenti ricchi di colore.
In prima fila noi bimbi, nell’attesa trepidante di ascoltare, tra le letture, le parole “povero e tremante bambinello”, con le quali la tenerezza del Pargolo scendeva dolce in noi e con essa restavamo sino allo spegnersi fumigante dell’ultima candela, propiziato dall’addetto col lungo spengitoio.
Intuivamo che da grande quel Bambinello avrebbe continuato ad amarci tutti nel Suo cammino tra fuga in Egitto, parabole da noi avvertite più nell’azione che nel significato, forse appena sfiorato, e luminosi miracoli, sino alla gioia delle Palme, cui doveva seguire il tremore del Getsemani e poi il dramma del Golgota.
Sensazioni che calavano in un mondo radicato nelle figure familiari, che avremmo presto incontrato attorno al parco, ma sicuro desco, nel tepore della casa. Poi il brano letto dalla mamma o la ripetuta favola di sempre o, magari, l’ultimo maneggiare discreto di bigliette colorate e figurine, che già avevano occupato buona parte del giorno. Tutto, infine, si concludeva rapidamente, nell’eco ovattata del Rosario, col capo reclinante verso un sonno sereno nell’attesa certa del nuovo giorno.
“Povero e tremante bambinello”, questo passaggio quasi materializzava l’immagine riccioluta dell’iconografia più classica, che partecipava della quotidianità nelle case, assieme alla Madonnina di gesso, al Sacro Cuore o anche a Maria Bambina, fasciata e sempre protetta da una campana di vetro, a testimoniare una Fede ricevuta e quotidianamente confermata nel duro lavoro, con i suoi ritmi abituali, e la discreta, ma vigile, attenzione ai vicini nei vecchi cortili e nelle ampie corti.
Chissà se nell’imminente novena del Natale 2002 tutto può accendersi come allora negli occhi sgranati di un bambino! Per noi anziani quel Bambinello è ormai in Croce; porta i segni del Suo cammino, che dalla Natività, giunge al Sacrificio, tanto più vicino, quest’ultimo, al sentire di chi ha vissuto, ancorché memore della tenerezza del povero e tremante bambinello.
Questa tenerezza è pero capace di rimuovere il sedimento di un vissuto anche a lungo disattento e di ravvivare il luccichio di una speranza che si alimenti della Natività. Essa ha portato Dio all’uomo
e l’uomo a Dio, con la Redenzione e la Resurrezione.
Dovrebbe bastare per dare spessore al presente di ciascuno ed aprirlo al futuro nella pienezza e nella forza dell’essere nati e del cammino che ci attende con Cristo Gesù, vero Uomo e vero Dio.
Giancarlo Pallavicini
Antonio Macchi Sono Antonio Macchi ma nato come De Benedetti Antonio Alfonso Gaetano Macchi luglio 1938, per motivi oscuri sono stato portato al Befotròfio di viale Picino a Milano,del perchè la storia è lunga,a 18 mesi sono stato adottato da una famiglia Bergamasca di Arzago d’Adda,ma veniamo subito del come sono venuto a conoscenza del seguito (premesso che ho SEMPRE saputo di essere figlio adottivo infatti fino 1966 mi chiamavo De Benedetti a Milano il 23 Antonio,ma poi ho preferito chiamarmi SOLO Macchi Antonio,cerco di sintetizzare, la mia mamma adottiva è vissuta con me e la mia famiglia gli ultimi due anni della sua vita,morta avvenuta nel 1989(il mio papà adottivo è morto nel 1963,stesso anno che è morta la mia VERA mamma),avevo la piccola casa dove ero cresciuto libera e facendo parte io della Caritas ho offerto la mia casa ad una Sig ra bisognosa gratuitamente,ed è stato pulendo che ho trovato ben nascosta una scatola di scarpe con dentro dei documenti,sia dell’adozione e delle lettere (in una delle quali mi diceva che mi avrebbe lasciato parte della sua eredità è ovvio che questi documenti sono tutt’ora in mio possesso) datate 1945/6/7/8 con il mittente di una Sig ra Francese,che si dichiarava essere mi zia, sorella della mia VERA mamma tramite una collega che aveva contatti con la Francia per motivi di lavoro,cosi sono riuscito ad avere i contatti con questa persona,la quale a seguito della mia telefonata è rimasta sulle prime dubbiosa MOLTO dubbiosa ma quando gli ho detto delle lettere e delle foto sue e di un mio cuginastro ci siamo accordati per un incontro avendo lei un appartamento a Milano in Viale Abruzzi, al bar Basso,come segno di riconoscimento NULLA dicendomi che se ero il figlio di sua sorella mi avrebbe riconosciuto,cosi’ è successo, e da qua incomincia le parte (per me) più interessante della storia,siamo rimasti assieme per tre ore e in queste tre ore mi ha raccontato chi veramente ero,i miei nonni erano, mio nonno il Marchese D’Argenge Console Francese in Italia,mia nonna Elvira dei Conti Di Carlo degli Abruzzi,dai quali hanno avuto tre figli mia mamma Paola,.Rodolfo e Yolanda lei,la quale) perchè il mio papà era stato ferito in Abissinia e lei è andata per assisterlo,poi purtroppo è morto,al suo ritorno io avevo già una famiglia,i rapporti con mia zia si sono approfonditi io e la mia defunta moglie siamo stati ospiti da lei in STUPENDI appartamenti una decina di volte a Parigi e da qua ho scoperto che era un vero personaggio oltre che MOLTO ricca,era infatti Presidentessa di una Fondazione >Pierre LafueinternetSILENZIO<telefonico con mia zia,e ancora su abbiamo letto dei lati oscuri di questo pseudo prete THUILLIER,il quale mi ha anche mandato un e-mail abbastanza minaccioso> premesso tutto questo sono a V/S completa disposizione per ulteriore chiarificazioni,distinti saluti Macchi Antonio (PS) mio recapito tel,e mio indirizzo, tel 00385981313866, via Brostolade 33 52450 Vrsar (HR) Skype: antoniomacchi
E mail : macchi.antonio@gmail.com
foto di Antonio Macchi.
17 dicembre alle ore 16.38 · Mi piace
Antonio Macchi
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Erminio Scagliotti e La Mari hanno commentato questo elemento.
Cesio EndrizziBASTA TASSE PER MANTENERE GLI STRANIERI
5 h ·
NEL 2015 LA DISOCCUPAZIONE AUMENTERA’ ALLA GRANDE CON IL JOB !
POI NON CAPISCO PERCHE’ VOGLIAMO PARLARE INGLESE….. QUANDO META’ PARLAMENTARI NON PARLANO NEMMENO ITALIANO !!
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Gian Piero Cassulo Leonardo da Vinci scriveva al contrario!
1 h · Mi piace
La Mari Che crepassero loro e il “job”
43 min · Mi piace
Erminio Scagliotti forza job act
3 min · Mi piace
Antonio Macchi
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Che il nostro santo padre sia aiutato in cuesta giornata d’elle santo natale da tutti gli uomini di buona volonta per la pace l’amore nel mondo