Nella riflessione mattutina in Casa Santa Marta Papa Francesco, prendendo spunto dal brano del Vangelo di oggi (Gv 5, 1-16), riflette sulle malattie che affliggono molti cristiani dei giorni nostri e che vengono descritte nelle Scritture stesse: la rassegnazione e il formalismo.
Il Vangelo del giorno, infatti, narra la guarigione di un paralitico, il quale, rassegnato dalla vita e dalla malattia, vive la propria vita come uno spettatore e non come il protagonista, terminando con il lamentarsi e nulla più: “Io penso a tanti cristiani, a tanti cattolici – ha commentato il Pontefice – che sono cattolici ma senza entusiasmo, anche amareggiati“!
Questo stato d’animo del paralitico, composto da un misto di amarezza e rassegnazione, è una malattia, esattamente la “malattia dell’accidia“, precisa Bergoglio, che trasforma i cristiani stessi in persone anestetizzate, che paralizza lo zelo apostolico e fa quindi vivere il cristianesimo come un non immischiarsi. “Io vado a Messa tutte le domeniche, ma meglio non immischiarsi, io ho la fede per la mia salute, non sento il bisogno di darla ad un altro…’ – ha infatti precisato il Vescovo di Roma – Ognuno a casa sua, tranquilli per la vita… Ma, tu fai qualcosa e poi ti rimproverano: ‘No, è meglio così, non rischiare…’ “
La seconda malattia che troviamo descritta nel brano del Vangelo odierno è il formalismo: Gesù opera un miracolo di sabato, ma l’evidenza dell’intervento di Dio viene negata dai formalisti i quali sostengono che la grazia di Dio non può lavorare il sabato. Anche oggi vi sono molti “cristiani che non lasciano posto alla grazia di Dio – ha spiegato il Santo Padre – e la vita cristiana, la vita di questa gente è avere tutti i documenti in regola, tutti gli attestati“.
Questo formalismo, è una malattia del cristiano, che genera l’ipocrisia, ovvero il chiudere le porte alla grazia di Dio poiché non opera secondo come noi vorremmo operasse. Di questi cristiani “ne abbiamo tanti nella Chiesa: ne abbiamo tanti! È un altro peccato. – ha riconosciuto il Pontefice – I primi, quelli che hanno il peccato dell’accidia, non sono capaci di andare avanti con il loro zelo apostolico, perché hanno deciso di fermarsi in se stessi, nelle loro tristezze, nei loro risentimenti, tutto quello. Questi invece non sono capaci di portare la salvezza perché chiudono la porta alla salvezza“.
Indossiamo un pulloverino di lana e facciamo una cosa che fanno tutti: tiriamo su le maniche e poi le abbassiamo che non è peccato né è niente, ma veniamo accusati e derisi per aver fatto questo. Non va bene come mangiamo, non va bene come parliamo, le nostre scarpe non sono belle, il nostro abbigliamento non è di buon gusto e perché non sappiamo usare i congiuntivi etc. etc. Certo è che ci vuole una pazienza!
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